Nuoto: stop alle transgender nelle gare femminili
A seguito di votazione espressa favorevolmente dal 71% dei 152 partecipanti al congresso straordinario di Budapest, è stata assunta una decisione storica che prevede eccezione soltanto nel caso in cui la transizione avvenga prima del raggiungimento del secondo livello di sviluppo nella Scala di Tanner (approssimativamente all’età di 12 anni).
E poiché un provvedimento del genere ha necessità di essere presentato come inclusivo anziché includente, ecco che la federazione internazionale sta pensando a una svolta che conduca verso l’istituzione di una terza divisione di gare oltre alla maschile e alla femminile, quella che verrà definita ‘open’ perché aperta alla partecipazione di atleti e atlete il cui genere sessuale sia diverso rispetto a quello biologico di nascita.
Di sicuro si è diffusa la consapevolezza che non fosse più rinviabile una decisione sul tema. Anche perché in altre discipline sportive la questione delle atlete transgender è stata avvertita come un’urgenza da risolvere, sin dal giorno in cui il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha aperto alla partecipazione di atleti transgender alle gare olimpiche. Ricordiamo il gennaio 2004, pochi mesi prima delle Olimpiadi di Atene, dove l’esecutivo dei Cinque Cerchi consentiva ad atleti e atlete transgender di scegliere se gareggiare nella divisione maschile o in quella femminile.
Da allora le polemiche sul tema si alimentano continuamente, vedendo contrapposti coloro che riscontrano un forte squilibrio competitivo nelle gare femminili in cui sono impegnate atlete trans, e coloro che invece difendono tale squilibrio competitivo come un prezzo da pagare per garantire a queste atlete il diritto a gareggiare.
Qualunque sia il punto di vista, la questione è estremamente complessa e non porta in nessun caso a una soluzione indiscutibilmente valida. Un punto di equilibrio sarà molto difficile da trovare. Ma la sua ricerca, negli anni a venire, sarà una sfida ineludibile per il mondo dello sport.